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L'inizio del mio viaggio. Vicini all'Europa in un altro mondo.

L'Africa da Gibilterra
Non ho parlato molto dell'Europa. C'è poco da dire d'altronde.
L'altro giorno, mentre pedalavo, pensavo. Strano, ma in dieci ore in sella ogni tanto qualche pensiero scappa. Questo finisce qua. Da me a voi. Da una bici su una strada a 2000Km da casa a voi. Non c'è di che.
Pensavo che l'Europa è una terra facile; devo averlo detto anche ai ragazzi di BMradio che settimanalmente mi chiamano per sapere del mio viaggio, ma forse non ne ho spiegato le ragioni.
E' facile perché la gente è uguale a noi, mangiano come noi e vivono come facciamo noi. Siamo uguali nel camminare, nel vestire e perfino nel pensare. Non c'è modo di aver paura. Come si può aver paura di qualcosa che si conosce così bene?
Tutte le strade sono asfaltate, i supermercati puliti e con un sacco di roba esposta e, se hai un problema, la soluzione è vicina.
Questo  mio pensiero, non è una perla di saggezza, ma è arrivato dopo anni di viaggio e dopo mesi sulla strada. Sembra facile a dirsi, ma da sentire è tutt'altra cosa.
La cosa più sorprendente è che mi è arrivato quando ancora non avevo messo piede fuori da Gibilterra. Ora che l'ho fatto, posso dire che ci avevo preso, e l'Europa mi sta iniziando a stare stretta. Ho voglia di Africa, di Asia, di Oceania. Di mondo. Quello in cui viviamo mi sembra finto, facile, per niente vero, ma...
Ma.
Africa.


Il traghetto è arrivato con tre quarti d'ora di ritardo. Nessun danno, di tempo ne ho ancora un'infinità. Il problema è che sulla banchina, ad aspettarmi, c'era il Cavalier Ginelli, Console Onorario italiano a Tangeri. E' stato informato del mio arrivo dall'Ambasciata italiana e si è reso disponibile per accogliermi all'arrivo.
L'appuntamento era alle 10, ora stabilita dell'arrivo del traghetto; che brutta figura. Colpa della gente del sud: lenti, rilassati, senza pensieri. Come i siciliani.
-Partiamo alle 11, alle 11 e mezza, boh, chi lo sa.
Intanto le autorità mi aspettano al porto.
Il Console, visto il mio ritardo, era di fretta. Giusto il tempo di un saluto ed è scappato via, ma non prima di avermi lasciato il biglietto da visita e di avermi invitato a cena nel Palazzo delle Istituzioni italiano, ma di questo parlerò domani.
Appena fuori dal porto, dei poliziotti mi hanno chiamato a loro.
Mi chiedevano cosa avessi fatto con la macchina fotografica. Mi hanno chiesto chi fossi e dove stessi andando con quella bici.
Dopo aver mostrato loro il biglietto da visita del console hanno cambiato faccia. Mi hanno augurato buon viaggio e mi hanno lasciato andare; ma non prima di avermi portato con loro nell'ufficio del capo della polizia per mostrare loro il mio itinerario.
Fuori dal porto, all'ingresso della città, si è in Africa.
Carretti trainati da muli e vecchie Mercedes degli anni 70 affollano le strade. In giro c'è gente che vende di tutto e che cerca di attirare l'attenzione dei pochi viaggiatori occidentali. Dietro di me si vede ancora Gibilterra, a quindici chilometri. Vicino in un altro mondo.
La differenza tra la Spagna -o l'Italia- e il Marocco è grande. Per molti aspetti è come essere tornati indietro di 30 anni. Non in senso negativo.
La gente vive in modo semplice. Vita di campagna.

La prima cosa che salta all'occhio è la miriade di persone sedute o sdraiate per strada; tutti camminano lentamente senza nessuna meta. Alcuni sono vestiti in abiti tradizionali, altri cercano di imitare la moda occidentale. La differenza è grande.
Gli autobus camminano con le portiere aperte e la gente aggrappata fuori, le persone attraversano la strada in ogni punto e non esistono regole della strada. Sembra di guidare a Catania.
In una rotonda un camion ha tamponato un taxi e per evitare l'incidente altri due gli sono andati addosso. Ma non è grave; la gente scende, si mette d'accordo e riparte. Di certo non è pericoloso come guidare a Torino; dove la gente non è abituata al caos e non sa gestire le situazioni inaspettate. Quante macchine ho visto ribaltate nei rettilinei a Torino; ancora mi chiedo come abbiano fatto i guidatori.
Molte persone elemosinano per strada. Uno mostra la sacca del catetere mezza piena, ancora attaccata al corpo.
Questo è il terzo mondo. La sua parte ricca.
L'aria è fresca; non sembra nemmeno di essere in Marocco.
La medina Tangeri non è molto caratteristica. Lo posso dire ora che ho già visto quella di تطوان (Tétouan) e quella di شفشاون  (Chefchaouen). Solo un piccolo mercatino. Ma veniamo alle altre due.
Vicoli impenetrabili e strettissimi. Gente buttata per terra in ogni lato che vende qualcosa. In alcuni punti una puzza disumana; buttano l'acqua sul pesce e questa scola per le stradine. In alcune botteghe dei ragazzi segano delle zampe di mucca. Ce ne sono alcune più vecchie già marce. Le mosche sono dappertutto.
In alcuni punti c'è un invitante odore di pane e di spezie. Perdersi nei vicoli è impossibile.
I prezzi sono a volte ridicoli. 10  Dirham, 1€ per più di un chilo di pane.
Oggi a Chefchaouen, una piccola medina abitata da tribù berbere persa nel Rif marocchino, delle signore lavavano i vestiti e la lana appena tagliata nel fiume che scorre dalle montagne.
Ragazzi per strada offrono Hashish ad ogni angolo; frutto delle coltivazioni nascoste nelle montagne.
Il Marocco è una terra bellissima. Non paesaggisticamente. Quello non si può dire. Ancora di paesaggi che hanno segnato la mia memoria non ne ho visti; ho solo notato che è come attraversare la Sicilia. Immense distese di grano tagliato. La terra gialla e nell'entroterra un caldo infernale.
Un'altra cosa che salta subito all'occhio è l'insistenza dei Marocchini.
Scrivo ora da Fes. Appena entrati in città, in camper, un marocchino su una moto, (abbiamo scoperto dopo si chiama Abdul; la probabilità di nascere Abdul qui è molto alta) ha insistito tanto per accompagnarci da qualche parte; ci ha inseguito con la sua vecchia motoretta fino a che noi gli abbiamo detto di portarci in un parcheggio. Alla fine voleva anche farci da guida nella città. Gentile.
Gentile un pazzo lo definirebbe.
Qui tutti cercano di venderti qualcosa. T'importunano per ore, ti inseguono, ti parlano, ti chiedono, ti toccano; insistono. Fastidiosi, pesanti, noiosissimi.
Ce l'hanno nel sangue. Fin ora questa, oltre al caldo asfissiante, è l'unica cosa che del Marocco non va giù. E non sono stato a  Marrakech e Meknes. Il sogno arabo deve ancora iniziare.






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1 commento:

  1. Sono appena tornato dopo aver fatto un miniviaggio (rispetto al tuo eheh) in bici : Padova-Berlino. 1350Km che ancora sento addosso! Una delle prime cose che ho fatto è stata quella di vedere come stava procedendo il buen gabriele ;) Mi sembra bene and so ... Keep on Riding man!

    Cheers!

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